Le antiche radici della chiusura de L’Unità

Visti i fatti di questi giorni, con la chiusura dello storico quotidiano fondato da Gramsci, proponiamo un (lungo) passo tratto dal libro “Italia Semiseria” di Carlo Sisti.

È esemplare poiché racconta di come si arrivò alla chiusura di Paese Sera, altro quotidiano storico della sinistra, che tuttavia era una spina nel fianco dell’organo di partito ufficiale (L’Unità, appunto).

Ed è anche interessante perché, come anche tutto il resto del libro, racconta importanti e divertenti “dietro le quinte” dell’universo comunista dell’epoca, e della vita nella grande tipografia del PCI.


[…] Superata la sconfessione dello stalinismo le sinistre riprendevano la loro marcia in avanti. Il Pci aveva una sua strada originale e si sganciava sempre più da Mosca. Infatti scomparvero due riviste, Realtà Sovietica e Notizie Sovietiche, che si stampavano all’Uesisa. Erano due riviste che inneggiavano alla vita felice nell’Unione sovietica. Dalla prima all’ultima pagina si vedevano contadini, operai, tecnici, insomma tutte le categorie dei lavoratori, contenti e felici sia sul posto di lavoro che nella vita privata. Per chi leggeva, l’Urss sembrava il paradiso in terra. Chissà se esistono ancora delle copie, sarebbe interessante per uno studio sulla propaganda politica. I compagni italiani sognavano di vivere in Urss e maledivano il Fato che li aveva fatti nascere in uno sporco paese capitalista. Anche coloro che visitavano l’Urss e i paesi socialisti tornavano entusiasti.

In Italia i dirigenti comunisti capirono che bisognava battere una strada diversa e nei fatti diventarono sempre più socialdemocratici, chi fece le spese del nuovo corso politico fu una rivista anticlericale, il Don Basilio. Era una rivista piena di vignette di preti crapuloni, grassi e felici che prosperavano sull’ignoranza dei poveri. All’inizio ebbe un certo successo dovuto alla novità, fiancheggiava in sostanza la propaganda comunista rivolta allora anche contro la Chiesa che era scesa massicciamente in campo contro i comunisti. Con il cambiamento di rotta si trovò in difficoltà economiche. Stampava all’Uesisa e credo, ma non ne sono sicuro, che fosse degli anarchici. L’Unità si offrì di sovvenzionarla entrando nella proprietà, ma come ebbe la maggioranza nel consiglio di amministrazione, la chiuse subito.

Alla fine degli anni cinquanta le cose per la stampa comunista si mettevano bene, Terenzi portò Paese Sera a un forte sviluppo, iniziando un nuovo modo di fare il giornalismo, che fu piano piano imitato da tutti gli altri quotidiani importanti. Paese Sera cominciò a fare delle pagine speciali che ebbero subito un grande successo. La prima fu quella dei cinema: ogni film programmato nelle sale aveva un piccolo commento critico e una valutazione. Poi fece la pagina settimanale sulle auto. Incominciava l’espansione della motorizzazione e la descrizione dei vari tipi di auto in commercio fu accolta favorevolmente (si diceva allora che Terenzi per motivi politici non fosse riuscito a ottenere la pubblicità dalla VW, ma minacciandola di parlar male della sua auto, in un baleno fosse poi arrivata la pubblicità). Infine fece quattro pagine sui libri con descrizioni e commenti dei libri stampati dalle maggiori case editrici.

Sull’onda di questo successo Terenzi pensò bene di fare una propria tipografia anche a Milano per stampare l’Unità del nord e per lanciare un giornale simile a Paese Sera. I suoi obiettivi non furono però tutti raggiunti. Il nuovo quotidiano non incontrò il successo sperato e pur essendo simile a Paese Sera, con cui divideva le pagine speciali, non era adatto alla mentalità milanese, probabilmente anche per un rifiuto di tutto ciò che veniva da Roma. Anzi si arrivò all’assurdo che vendeva più l’edizione romana (evidentemente per la curiosità di sapere che cosa si dicesse a Roma) che il gemello milanese. Questo errore fu l’inizio di una crisi editoriale della stampa comunista e fu preso a pretesto dai nemici interni di Terenzi, specialmente dell’apparato burocratico e degli ambienti dell’Unità. Terenzi era l’amministratore unico di tutta la stampa comunista e fu rimosso da amministratore dell’Unità rimanendo tale solo per Paese Sera. Questa divisione tra giornale di partito e giornali fiancheggiatori portò a una feroce lotta dell’Unità contro costoro.

I motivi sono complessi e provo a sintetizzarli. Vivevano nello stesso palazzo due mondi completamente diversi. La redazione dell’Unità era formata da funzionari di partito, che allora significava più che altro prendere uno stipendio fortemente ridotto rispetto alle tariffe sindacali. Costoro in genere venivano dall’apparato e la nuova strada democratica al socialismo la consideravano più come una necessità strategica che come un nuovo fondamento ideologico (come la maggior parte dei comunisti di allora – d’altronde cambiamenti così radicali richiedono tempo per essere assimilati). L’Unità era poi indirizzata alle masse comuniste, masse da orientare e guidare su una linea politica precisa senza tentennamenti, per non indebolire la forza dell’organizzazione: strategia molto simile a quella cattolica verso i propri credenti. Credo che lo stress a cui erano sottoposti questi giornalisti nei loro scritti, per la paura di uscire dalla linea politica, fosse enorme. Ogni frase veniva soppesata da tutti i punti di vista perché non si prestasse a interpretazioni ambigue, col risultato di non dire niente di nuovo, ma di dirlo con tante parole, rimasticando continuamente e ossessivamente le idee dei leader.

A tal proposito l’Unità costava il doppio degli altri giornali, per il ritardo con cui venivano passati gli articoli da comporre in tipografia, costringendo l’amministrazione a spedire le auto ogni volta che si perdevano i treni. Di fronte all’accusa della tipografia che la colpa era dei giornalisti che passavano gli articoli in ritardo sui tempi stabiliti, i giornalisti cominciarono allora a dare gli articoli in orario e il proto timbrava l’arrivo con un orologio apposito, poi però facevano continui cambiamenti facendo ancora più tardi di prima perché articoli completamente rimaneggiati erano di più difficile interpretazione da parte dei linotipisti, quindi le cose peggiorarono invece di migliorare. Ancora ricordo una volta che capitai vicino al proto mentre due redattori di una pagina dell’Unità stavano attentamente guardando il bozzone della pagina già pronta ma non si decidevano a licenziarla con il rischio di far perdere il treno al giornale. Erano rimasti come incantati e il proto sconsolato mi disse: “Sembra che stiano guardando un’opera d’arte”. I tipografi prendevano in giro i redattori dell’Unità dicendo che poverini non avevano tutti i torti, dovendo ogni giorno scrivere la Divina Commedia.

Si aggiravano nel palazzo, nel bar, alla mensa, a contatto con il mondo più libero e ricco dei giornalisti di Paese Sera, sentendosi dei paria al loro confronto: loro che erano i redattori del giornale più importante della stampa comunista. In genere non erano dei professionisti, ma venivano da ambienti politici e dopo aver fatto praticantato con l’Unità ambivano a passare a Paese Sera, come poi spesso accadeva. Ci raccontò un redattore che in una riunione di redazione Terenzi, l’amministratore unico, minacciasse un giornalista di passarlo a Paese Sera come punizione (come poi effettivamente avvenne) e che tutti gli altri avrebbero voluto gridare: “Pure a me, pure a me!”.

L’Unità poi si batteva contro la società borghese per trasformarla in una società socialista, quindi era molto critica verso questa società. Dalla prima all’ultima pagina era un continuo grido del baratro in cui questa società ci avrebbe gettati. Questo modo di fare propaganda portò a una continua diminuzione delle vendite del giornale. E’ esemplare l’episodio di un tipografo che non prendeva l’Unità all’uscita dal lavoro (era usanza per le maestranze prendere all’uscita una copia di tutti i giornali che si stampavano nella tipografia). L’usciere di servizio vedendo che molti prendevano solo Paese Sera e non l’Unità domandò a uno di loro il motivo e questi candidamente gli rispose: “A leggere l’Unità con tutte le sciagure che prevede a uno non gli resta che buttarsi dal primo ponte su cui passa”. Questa risposta sintetizza molto bene i motivi del continuo calo di vendita del giornale. Affezionati lettori erano i masochisti che evidentemente godevano nel leggere quel giornale di malaugurio. Ma come il tipografo non la pensavano i redattori, che per mettere le mani avanti accusarono Paese Sera di far concorrenza all’Unità, per cui i comunisti compravano questo giornale invece che l’organo di partito. In fondo era vero, ma invece di arrivare alla conclusione di migliorare l’Unità pensarono bene di prendere la strada della liquidazione di questo concorrente.

La prima grossa crisi fu determinata dalla morte di Mattei, presidente dell’Eni. Costui, grosso manager pubblico appartenente al movimento Dc di sinistra, fu convinto da Terenzi ad appoggiare la stampa di sinistra, per contrastare forse il grosso centro Dc. Mattei doveva comprare L’Ora di Palermo, omologo di Paese Sera in Sicilia, dove l’Eni stava svolgendo una grossa attività. La sua morte, dovuta a incidente aereo o ad attentato, determinò il fallimento di questa operazione e quindi l’impossibilità di alleviare i debiti della stampa comunista. Terenzi si vide costretto a chiudere il Paese unificandolo con Paese Sera. Da allora la lotta di Paese Sera per sopravvivere agli attacchi divenne titanica.

Un altro fatto negativo furono le vicende mediorientali con la guerra di Israele contro le nazioni arabe alleate dell’Urss. Gli ebrei ebbero un ruolo importante nella fondazione di Paese e Paese Sera, il cui primo direttore, Smith, era un grande giornalista con esperienza internazionale. Gli ebrei italiani, uniti alla sinistra nella lotta antifascista, si staccarono con le vicende palestinesi. Il loro peso nella cultura italiana era importante, perché con le loro relazioni internazionali erano apportatori di una cultura non provinciale. Sottoposto ad attacchi concentrici, Terenzi reagiva da par suo. Cercò direttori prestigiosi, ma il primo morì poco dopo. Un altro direttore, tra i più grandi giornalisti italiani, non venne perché il partito non gli concesse di dargli lo stipendio che questi voleva. I filo-Unità stigmatizzarono come immorale tale richiesta, non degna di un direttore di un giornale popolare. Era una scusa perché i soldi sarebbero rientrati con l’aumento delle vendite dovuto a una firma prestigiosa.

Inoltre, all’interno della tipografia i dirigenti tecnici (tra cui molti erano ex sindacalisti, promossi per non averli nemici) fomentavano le maestranze contro Paese Sera, accusato di non pagare la tipografia e quindi di essere la causa del ritardo nel pagamento degli stipendi. Accusa ridicola perché il Paese Sera doveva essere sovvenzionato dal partito. La menzogna è un’arma potente nella lotta politica. Quando si preparavano a colpire qualcuno, sul suo conto cominciavano a girare una serie di maldicenze, che ricordo venivano riportate con le stesse parole, le stesse pause nel parlare di chi le aveva per primo propalate.

L’ultimo tentativo di Terenzi fu quello di agganciare la Lega delle cooperative, che però proprio in quel momento stava passando un momento difficilissimo: aveva fatto un investimento sbagliato, aveva cioè comprato l’impero Duina (così era chiamato, ma non so cosa fosse) non sapendo che era carico di debiti. Sembra che il presidente della Lega facesse da capro espiatorio, pagando personalmente con un po’ di carcere, e salvando così la Lega da un rischio di fallimento. Oramai il destino di Paese Sera era segnato e doveva prima o poi compiersi.

L’ultima beffa fu che lo mandarono a stampare in una tipografia privata per farlo uscire dall’azienda, per ucciderlo fuori e per scongiurare eventuali occupazioni della tipografia che avrebbero messo in difficoltà l’Unità. Si ebbe la faccia tosta di sostenere ufficialmente che questa operazione era un risparmio. Una tale assurdità doveva essere accettata come buona da tutti: ma come si può risparmiare andando a stampare in un posto che deve essere pagato quando puoi stampare tranquillamente nella tua azienda gratis!

Inoltre la nuova tipografia non assunse i tipografi che lavoravano per Paese Sera, aveva già i propri e dopo molte insistenze ne assunse una parte. L’Unità dovette sobbarcarsi l’onere di un organico quasi doppio del necessario. Furono aboliti tutti gli straordinari ma l’organico rimaneva sempre alto. L’abolizione degli straordinari fu il primo esempio di solidarietà con la riduzione dell’orario e la equivalente riduzione della paga. Nel dopoguerra era invalso l’uso degli straordinari (prima della guerra erano proibiti per legge) perché conveniva da una parte ai padroni che risparmiavano i contributi, e dall’altra ai lavoratori che guadagnavano di più. Facevano ormai parte integrante del reddito con un’incidenza di circa un terzo. La loro abolizione fu accettata, ma non certo con gioia.

La Gate era diventata un’azienda particolarmente lugubre, sembrava deserta sia perché coi computer serviva solo un terzo dello spazio necessario prima, sia perché con la sola Unità, un’azienda fatta per allestire più giornali, dava l’impressione dell’abbandono e del degrado.

Lascia un commento